Severance o la stanza sul retro della coscienza

Severance

Perché piangi, ragazzo? Gli chiese.
Tu lo sai, rispose il Minotauro,
solo tu sai cosa provoca la visione dell’universo,
e tu mi hai rinchiuso nella sintesi della sua immagine.

Accade nel 2019: sul sito web imageboard 4Chan un utente anonimo pubblica la foto di un ambiente tappezzato da carta da parati ingiallita con motivi rétro, labirintico e apparentemente vuoto. Nasce uno dei creepypasta più popolari del web.

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Nella didascalia l’autore utilizza il verbo noclip out riferendosi alla modalità noclip, che nell’ambito del gaming descrive la possibilità di muoversi liberamente e oltrepassare i confini dell’area di gioco per accedere a una dimensione liminale. Questo produce un errore definito Hall of Mirrors, per il quale la visuale dell’utente si deforma e si moltiplica come in una sala degli specchi. La realtà del gioco si scinde e produce il suo negativo.

L’accesso alle backroom avviene tramite un fenomeno analogo, è possibile incorrere in uno scivolamento pericoloso oltre la percezione del reale, nelle aree sbagliate della mente.

Potremmo definire le backroom spazi simbolici dell’inconscio, luoghi che corrispondono a un preciso immaginario collettivo, in grado di evocare paure ancestrali.

L’estetica di Severance (2022), serie di Apple TV+, è apertamente ispirata alle backroom: la storia si sviluppa intorno alla Lumon, azienda misteriosa, fitta di infiniti corridoi asettici dalla luce bianca, quasi eterea.

La scissione è l’esperimento a cui i dipendenti della Lumon si sottopongono volontariamente, un’operazione chirurgica volta a impiantare nel cervello un microchip in grado di separare la memoria dentro e quella fuori l’ambiente di lavoro. I cosiddetti innies lavorano per otto ore completamente ignari della propria identità oltre la Lumon, della loro vita da outies.

Lo scopo delle mansioni è sconosciuto, le postazioni di alcuni uffici semivuoti ospitano individui il cui compito è quello di cancellare una serie di numeri, guidati dall’emozione che questi suscitano, che è spesso la paura. Ma è solo una piccola parte, la struttura è composta da tanti reparti diversi, a nessuno di questi è consentita la comunicazione: ognuno alimenta così l’ideale negativo dello sconosciuto – nemico.

Conosciamo poco della storia di queste cavie, perlopiù la narrazione gira intorno a Mark e al suo team. Mark ha deciso di ricorrere alla scissione per dissociarsi dal dolore per la scomparsa della moglie, esce da se stesso per ridurre le ore di coscienza luttuosa.

Se da principio le due identità del protagonista sembrano allineate nell’obbedienza alle logiche aziendaliste – il Mark fuori crede fermamente nella scissione e il Mark dentro è un dipendente modello – da un certo momento in poi entrambi, a loro modo, conoscono la frustrazione della parzialità. A innescare la scintilla non è un’epifania ma la relazione profonda con l’altro, il confronto e le emozioni.

Gli innies, in particolare, vivono quotidianamente nascita e infanzia: il passaggio da una memoria all’altra è innescato da un ascensore che espelle l’individuo vuoto e puro. Egli ri – nasce e sperimenta per sua natura originaria la necessità della conoscenza di sé e del mondo, ha bisogno di essere riempito. L’ascensore genera muovendo dall’alto verso il basso, è uno scendere simbolico nella stanza sul retro della coscienza.

Questi gusci vuoti percorrono corridoi ordinati come solo il pensiero razionale più violento può essere, con l’angoscia che qualcosa o qualcuno, improvvisamente, possa sconvolgere il controllo. Una condanna, la vertigine procurata dallo spazio di un pensiero strutturato, descritta perfettamente da Antonio Tabucchi nella prefazione al suo racconto Le cefalee del Minotauro:

«frangere lo spazio in un reticolo di mille angoli retti, come se esso fosse organizzato dagli occhi di una mosca, vanifica le giuste intenzioni di Euclide e riduce la sua paziente geometria a un insensato frattale che provoca panico. Nel decifrarlo, il nervo ottico, sulla cui scansione Euclide era riuscito a sintonizzarsi, invia alla corteccia cerebrale messaggi conflittuali tra loro, ciascuno dei quali nega il precedente. Un angolo conduce alla libertà, un altro alla prigione eterna: ma essi sono uguali e complementari, beffardi siamesi di pietra per i quali ogni goniometro è vano».

Deleuze scriveva che il cinema è composto da circuiti complessi che includono una serie di immagini: immagini del presente, immagini del ricordo, immagini del sogno e immagini – mondo. In Severance le immagini sintetizzano la trama complessa del mondo psicologico: scindersi e produrre un doppio – automa – vergine – operoso, lo stesso che in virtù della sua innocenza fanciullesca cercherà di allearsi con il suo esterno, mettendo in discussione ciò che è dentro e ciò che è fuori.

Severance è un albo che illustra una condizione di alienazione lavorativa ed esistenziale: il modello lavorativo contemporaneo che sostituisce e riflette quello della famiglia di origine, ripetendone gli schemi più nocivi (ruoli, senso di colpa, conflitti). Il lavoro è un genitore giudicante, che vigila e reprime.

Mark e i suoi colleghi assecondano il lento spegnimento del sé, cedono simbolicamente il fardello del pensiero non potendone sostenere il peso, circoscrivendolo in una serie di segmenti labirintici prolungati.

Con Il sogno di Dedalo è ancora Tabucchi a suggerire la chiave: Dedalo, acuto architetto, si perde nelle stanze infinite che egli stesso ha progettato. Quando si imbatte nel Minotauro e nella tragedia che realizza di avergli procurato, lo libera fabbricandogli le ali.

Così Mark esterno e Mark interno bambino possono uscire dalla Lumon: intrecciando le mani, armati di penne e cera.