You’re like
a walking encyclopedia
of weirdness.
I confini del genere young adult sono molto elastici. Ci permettono di arrivare dalla comedy al fantasy e battono bandiere di ogni colore: rosa, giallo, noir. Supernatural non è quello che definiremmo un teen drama da manuale, ma d’altra parte – quando si tratta di televisione – i manuali ci hanno insegnato poco o niente. Preferiamo imparare sul campo, proprio come i fratelli Winchester.
A pensarci meglio potremmo dire che Supernatural è un drama teen: nel 2020 ha compiuto 15 anni. Arrivare a 15 stagioni non è una cosa che riesca a tutti (e per molti versi questa è una fortuna), sicuramente non è sinonimo di qualità, ma dichiara una cosa altrettanto importante: la fedeltà del pubblico, una fanbase dura a morire. Anche in questo caso, proprio come i fratelli Winchester.
La prima puntata è andata in onda sulla rete televisiva The WB, in seguito trasformatasi in quella The CW che avrebbe fatto la felicità di tanti giovani adulti con The Vampire Diaries, Gossip Girl, One Tree Hill o l’intero Arrowverse. Un’emittente su cui (portafoglio alla mano) avremmo scommesso tutti e che, invece – proprio in questi mesi – ha deciso di cambiare completamente rotta. Perché? Soldi, what else. Come? Lasciandosi acquisire da Nexstar e promettendo di diventare profitable entro il 2025. A quanto pare avere all’attivo una leggendaria serie di successi non basta, specialmente se tutti gli show si rivolgono a un target di età specifico (18-35 anni), ma il pubblico è in maggior parte composto da chi (per dirla alla Carrie Bradshaw) nei moduli delle tasse barra la casellina 50+. Che cosa comporta questo per noi comuni amanti dei teen drama? La cancellazione di tutte le serie nel nostro continua a guardare. Perlomeno The CW ha avuto l’accortezza di annunciare con anticipo i guai che sarebbero arrivati, dando il tempo a quasi tutti gli sceneggiatori di (ri)scrivere i finali di stagione come finali di serie (Legacies, Dynasty) o di risolvere gli archi narrativi in un’ultima stagione (Riverdale, Nancy Drew). Perché ne stiamo parlando? Perché se fosse accaduto 17 anni fa quasi sicuramente non avremmo avuto una seconda stagione di Supernatural e sarebbe stato un triste universo parallelo. Non so in quanti, infatti, quel lontano giorno del 2005, avrebbero scommesso sul successo di un nuovo show sul sovrannaturale. Non sono nemmeno certa che l’avrei fatto io.
Facciamo un passo indietro. Buffy the Vampire Slayer è finita da un paio di anni, ma da più di dieci Eric Kripke sta pensando a un film o a una serie che unisca la sua passione per la cultura pop, quella per la mitologia e le leggende metropolitane, il suo amore per Sulla strada di Kerouac e l’intenzione di raccontare – sotto tutte le altre storie – una famiglia, i suoi conflitti, i suoi valori. Kripke ha in mente (prima tre, poi) cinque stagioni con una conclusione precisa e nel cuore, immagino, la paura di una prematura cancellazione. Non solo Supernatural arriverà gloriosamente alla fine sognata da Kripke, ma verrà rinnovato fino al 2020 e avrà un impatto esplosivo sulla cultura popolare. Dopotutto quante serie possono dire di avere un giorno a loro dedicato? Ad Austin (città natale dei due protagonisti) è stato il sindaco stesso a indire il Supernatural Day.
Ma qual è il segreto del successo di Supernatural? Stiamo parlando di una serie che racconta la vita on the road americana, ma è quasi interamente girata in Canada. Una realtà che per molti fan, nonostante l’amore, sarebbe potuta finire un po’ meglio e un po’ prima. Uno show in cui le location (stanze d’albergo, chiese e case) vengono riciclate senza nemmeno tante modifiche, alcuni attori interpretano più di un ruolo, in diverse occasioni si intravedono i riflessi dell’attrezzatura di scena e capita persino che qualcuno si giri di spalle per nascondere una risata. Tre stagioni di episodi autoconclusivi e a tratti (ammettiamolo) piuttosto noiosi, poi – improvvisamente – una storia che ci fa vibrare il sangue con angeli e demoni, Dio e Lucifero, il Bene e il Male e tutto ciò che c’è in mezzo.
La prima risposta è nella sua incredibile e spiazzante autoironia. Nella capacità di arrivare sull’orlo del ridicolo e non cadere mai. Supernatural gioca, sempre, prima con citazioni e riferimenti, poi spingendosi più in là: fino a creare puntate metatelevisive geniali. Fino a inventare una sua religione e un Dio che non tutti avremmo il coraggio di raccontare. E questa è un’altra risposta: quante volte siamo vittime di una profezia che si autoavvera? Quante volte pensare troppo ci spinge a sbagliare? Supernatural sembra agire senza riflettere, sembra stampare senza rileggere, prima che i dubbi compromettano la storia che vuole scrivere, proprio come il suo Dio. È un po’ Bela Lugosi e un po’ Jackass e non se ne fa un problema.
Supernatural non ha un’identità semplice da riassumere, né confini di genere. È un compendio di pop culture con continue strizzatine d’occhio in ogni direzione – da Hazzard a The Exorcist, da Gilmore Girls a Poltergeist – che ha letto e imparato a memoria tutti gli X-Files. Non si accontenta di vivere nel perimetro dello schermo: libri, fumetti, una versione anime, uno spin off intitolato The Winchesters e altri due, anticipati da altrettanti backdoor pilots, ma mai realizzati (tutti tristemente privi di quell’X factor così difficile da replicare). Quasi impossibile trovare posto a sedere ai suoi panel nelle convention, gremite di seguaci non solo numerosi, ma anche così potenti da far tornare sul set personaggi non più previsti dalla sceneggiatura con la sola forza di una ship. Per non parlare del merchandising, perché io stessa ho perso il conto di Funko Pop e modellini dell’Impala, magliette e portachiavi con il simbolo anti-possessione raccolti negli anni.
Un’ultima cosa, forse la più importante: Supernatural è lo specchio dell’America. Gli Stati Uniti, amati e odiati, stracolmi di colpe e difetti, ma allo stesso tempo di musica e cinema e arte. Gli Stati Uniti, in grado di creare leggende dal nulla, senza bisogno di tempo, solo con l’entusiasmo, le parole giuste e quel pizzico di incoscienza. Gli Stati Uniti che da sempre compensano la mancanza di una Storia con le storie e riscrivono le regole della letteratura con Hemingway, Fitzgerald e David Foster Wallace, quelle dello sport con Babe Ruth e Micheal Jordan, e dove non hanno emblemi li inventano, perché hanno capito che basta mettere delle grandi lettere su una collina per trasformarla nella nuova capitale mondiale del cinema.
L’America, piena di contraddizioni, è Bruce Springsteen che racconta la classe operaia con versi da far invidia alla poesia, ma non ha lavorato un solo giorno in tutta la sua vita. L’America è Supernatural: con buone intenzioni e troppe armi, i valori giusti e le azioni sbagliate, oggetti apparentemente insignificanti e comuni che divengono simboli. Ecco allora che non ci sorprende sapere come sia stata la serie più richiesta dai militari dispiegati in Iraq e in Afghanistan. Ci sorprende un po’ di più l’approvazione della critica, ma non ci perdiamo il sonno, perché una cosa l’abbiamo capita anche noi: il successo non ha regole e non c’entra nulla con la perfezione. Come l’amicizia, come l’amore. Come ciò che ci lega alla famiglia, nonostante le differenze e gli screzi. Ancora una volta, proprio come i fratelli Winchester.