Veronica e io

Veronica Mars


If you’re like me,
you just keep chasing the storm.

Nel 2004 la televisione era molto diversa, non solo perché nella maggior parte dei casi occupava ancora un’immane porzione di spazio fisico, ma anche – e soprattutto – perché rendeva estremamente difficile mantenere sane e regolari abitudini seriali. La programmazione delle emittenti era poco affidabile, le pubblicità subentravano spesso a tre quarti di una frase e, nella sventurata ipotesi di un improvviso e improrogabile impegno, recuperare una puntata era una missione davvero impossibile.

Un paio di anni dopo il debutto americano, nel 2006, Mediaset ha portato in Italia una giovane investigatrice privata che si è fatta amare e non poco, nonostante i tentativi di boicottaggio di una traduzione che ha mescolato errori grossolani a vere e proprie scelte drammaticamente sbagliate.

Per fare due esempi: la decisione di ribattezzare Buddy il cane di Veronica, eliminando così i numerosi giochi di parole che coinvolgevano il vero nome del mastino, ovvero Backup (“rinforzo”), oppure l’inspiegabile trasposizione del termine narc (nel contesto, “spia”) in “narcotrafficante” con conseguenti, enormi, problemi di comprensione della trama. Ma era il 2006, appunto, e non bastavano l’idea e la voglia di guardare una serie tv in lingua originale: mancava la possibilità di farlo. Così, finalmente, circa vent’anni dopo, mi sono regalata un rewatch e, proprio come Veronica, anch’io sono stata travolta dalle scoperte.

Innanzitutto ho capito di essere cresciuta con lei, ma anche grazie a lei. Veronica Mars mi ha insegnato tante piccole cose che così piccole non sono. Quelle che oggi liquidiamo come banalità, ma che ieri – quando cercavamo di sopravvivere agli anni delle superiori e dell’università – erano i consigli più preziosi che si potessero ricevere. Gli stessi che i nostri genitori faticavano a farci entrare in testa: che non è possibile cambiare l’opinione degli altri, ma che restando fedeli a noi stessi avremmo vinto comunque. Che le apparenze ingannano. Che vale la pena fare una domanda in più. Che la risorsa più grande non sono i soldi, ma l’intelligenza. Che si può curare il proprio aspetto fisico e contemporaneamente nutrire il cervello, che lo smalto non è un nemico della cultura, che una donna può essere indipendente anche quando è innamorata, che essere forti non significa nascondere le nostre fragilità. Che meritiamo di camminare a testa alta, sempre.

La lezione più inaspettata, però, è arrivata oltre i confini dello schermo. Quando l’emittente americana The CW (nata dalla fusione di The WB e UPN, che aveva trasmesso le prime due stagioni) ha deciso di cancellare lo show, a nulla sono servite le lamentele dei fan (nemmeno quelle più creative, come inviare agli uffici della rete più di diecimila barrette Mars in segno di protesta). Rob Thomas, ideatore della serie, aveva già un film su Veronica in cantiere, ma nessuno ai piani alti sembrava volerlo. Ecco allora che, con un crowdfunding sulla piattaforma Kickstarter, la cifra desiderata (2 milioni di dollari) è stata raggiunta in appena 24 ore.

Persino io, in una città di media grandezza nel nord dell’Italia, migliaia di chilometri distante sia dall’immaginaria Neptune che dalla reale California, ho ricevuto da un’amica l’invito a donare pochi dollari per poter rivedere Veronica. Una sorta di “riscatto”, se vogliamo. In più di un senso.

Il totale raccolto dai fan di tutto il mondo ha sfiorato i 6 milioni di dollari e così, Miss Mars ha dimostrato con i fatti esattamente quello che ha sempre raccontato nelle sue storie: che Davide ha davvero una chance di battere Golia, che migliaia di piccole voci possono sovvertire la decisione presa da chi è seduto nella poltrona più comoda e che il tempo, non importa quanto ne sia passato, non cancella l’amore.

Il film è uscito nel 2014, ma non è stato un epilogo. Il 19 luglio del 2019 sono state caricate sulla piattaforma di streaming statunitense Hulu tutte e otto le puntate della miniserie revival e io, naturalmente, sono arrivata puntuale all’appuntamento. Che spero (e so che in molti condividono questa speranza) non sia stato l’ultimo.

Avevamo circa vent’anni, Veronica e io, quando ci siamo conosciute. Oggi ne abbiamo circa quaranta, ma le cose che contano non sono cambiate e potremmo dire che questa sia l’ennesima cosa che ho imparato anche grazie a lei: l’età è un numero da cui a volte ci lasciamo definire, ma che non dice niente, non racconta niente, non sa niente di noi.

E il tempo non è un nemico, ma un contenitore in cui riporre le memorie, per riguardarle un giorno e ricordare quando, a long time ago, we used to be friends.